Retribuzioni pubbliche a confronto con quelle private: il rapporto Aran è utile, ma non esauriente
La Tavola 13 è la più centrata e rappresentativa tra quelle presenti nel Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti:

Esso evidenzia molto più di qualsiasi altro, sia pur utile, raffronto quanto successo negli ultimi 20 anni e, cioè, che fino al 2007 le retribuzioni medie nel lavoro pubblico erano state poco al di sotto dell’inflazione e costantemente al di sotto delle dinamiche dei settori privati (non si parla di valori assoluti); ma, nel 2008 accade qualcosa: entrano in gioco le moltissime progressioni verticali e orizzontali svolte nei 7 anni precedenti, sicchè le retribuzioni pubbliche si impennano e superano l’inflazione per 3 anni di seguito.
Nel frattempo, però, in Italia si manifesta la tremenda crisi finanziaria, che induce alle draconiane manovre contenute nel d.l. 78/2010 in particolare: blocchi alla contrattazione, blocchi alle progressioni verticali, blocchi alle progressioni verticali, tetti rigidissimi alle assunzioni, accentuati, poco dopo, dalle vicende connesse alla sciagurata riforma delle province. Infatti, dal 2010 al 2017 la dinamica salariale della PA rimane piatta e ben al di sotto dell’inflazione. Torna a salire un poco nel 2018, quando, a distanza di tantissimi anni, riparte la contrattazione del triennio 2016-2018, una contrattazione che ha perso per strada circa 8 anni. Infatti, le retribuzioni restano ancora fortemente sotto l’inflazione. Un altro salto verso l’alto le retribuzioni pubbliche lo compiono nel 2022, in occasione degli ultimi rinnovi contrattuali: ma la forbice con l’inflazione, esplosa a causa delle altre ultime vicende internazionali, si allarga ancora. Solo nei confronti del comparto dei servizi privati la dinamica della PA porta ad un recupero di posizioni.
Questo il commento dell’Aran alla Tabella 13: “Nel grafico di tavola 13 è mantenuta, per tutta la serie storica, la stessa base e si espone l’andamento delle retribuzioni contrattuali del personale non dirigente dei comparti di riferimento Aran, del personale in regime di diritto pubblico e del personale dell’industria e dei servizi privati – confrontate con l’andamento mensile dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività. La curva delle retribuzioni contrattuali del personale non dirigente dei comparti di contrattazione collettiva Aran, stabile da luglio 2010 a febbraio 2018, e al di sotto della curva dell’indice nazionale dei prezzi al consumo da aprile 2011, è tornata a crescere con la sottoscrizione nel 2018 dei CCNL di competenza Aran (Funzioni Centrali a febbraio 2018, Istruzione e ricerca ad aprile e Funzioni Locali e Sanità a maggio 2018) e con l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale ad aprile e luglio 2022, l’adeguamento dell’indennità di amministrazione di alcuni ministeri in applicazione del DPCM 23/12/2021 a maggio e l’applicazione dei contratti Funzioni Centrali Sanità, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Funzioni Locali e infine Istruzione e Ricerca fra luglio 2022 e febbraio 2023”.
Se si vuole comprendere una delle ragioni per le quali attualmente il lavoro pubblico non risulta più avere l’appeal di una volta, i dati evidenziati sopra sono eloquenti.
Il blocco salariale ha dato la sensazione chiara di un elemento, per altro, vero: il lavoro pubblico non solo è poco “dinamico” nella sua intrinseca struttura e regolazione, ma è molto piatto e statico proprio dal punto di vista della retribuzione, perchè strettamente connessa alle dinamiche economiche complessive del Paese, da anni molto in difficoltà.
Regolare il rapporto di lavoro pubblico significa occuparsi di finanza e spesa pubblica complessiva, visto che si parla del 17% circa della spesa complessiva e circa 8 punti di Pil.
Il lavoro pubblico, dunque, può, come in effetti avvenuto, essere gestito in modo da bloccarne il più possibile l’elemento dinamico del costo e del reclutamento.
Non se ne sono accorti solo i dipendenti e gli enti pubblici, ma anche i cittadini. In un sistema, per altro, nel quale la domanda di lavoro pubblico va orientandosi sempre più sul tempo determinato, è evidente che comparti di gran lunga più aperti a carriere e, soprattutto, a trattative individuali idonee a modificare e di molto la retribuzione, vengano viste con molta attenzione.
Non ha sicuramente torto l’Aran, quando nel rapporto in commento afferma: “La capacità di competere nel mercato del lavoro per attrarre (e trattenere) competenze elevate non dipende unicamente dalla leva retributiva, seppure quest’ultima si confermi come fattore rilevante nelle scelte individuali. Vi sono, infatti, numerose altre variabili che rendono attrattivo un posto di lavoro. Notevole importanza rivestono, ad esempio, gli elementi del contesto organizzativo che favoriscono il coinvolgimento e la motivazione: ad esempio, il livello di autonomia e di empowerment, le opportunità di apprendimento e di crescita professionale, lo stile di leadership dei capi. Altri fattori rilevanti sono anche la stabilità del posto di lavoro, le opportunità di carriera, l’utilità sociale del proprio lavoro, la conciliazione vita-lavoro, la reputazione e l’immagine, la coerenza con il percorso di studi fatto, la distanza con il luogo di residenza, la possibilità di ottenere benefici ulteriori rispetto alla retribuzione (ad esempio, pacchetti di welfare), la qualità degli ambienti fisici di lavoro. Alcuni di questi fattori sembrano penalizzare la pubblica amministrazione (ad esempio, opportunità di carriera, qualità dei contesti organizzativi, pacchetti di benefici in aggiunta alla retribuzione)”.
Tutto giusto, ma anche molto “consolatorio”. La realtà è che gli spazi per l’autonomia sono sottratti dalle regole vigenti, che, per esempio, non danno alcun rilievo alla contrattazione individuale e decentrata. Proprio per tenere sotto controllo la spesa pubblica, nel lavoro alle dipendenze della PA i contratti “aziendali” ed individuali sono soggetti ad un rigidissimo regime di inferiorità gerarchica rispetto ai Ccnl. A differenza di quanto avviene nel lavoro privato, i contratti individuali e decentrati non possono praticamente prevedere deroghè nè alla legge, nè ai contratti nazionali.
Non si sta affermando che questo, allora, costituisce un elemento “proprio” ed insuperabile del lavoro pubblico: con estremo realismo, si osserva che per giungere a quella spinta dinamica verso la maggiore autonomia, l’empowerment, le opportunità di crescita professionale, la leadership, capaci di modificare le dinamiche del lavoro, occorre radicalmente riformare tutto l’assetto normativo. Perchè è l’attuale assetto che impedisce di rendere più appetibile il lavoro pubblico di quanto non lo sia.
L’Aran evidenzia che uno tra i fattori più “respingenti” riguarda le opportunità di carriera. In particolare, il Rapporto sottolinea che “I sistemi finora utilizzati nel pubblico per governare la variabilità retributiva, a parità di inquadramento, sono fondamentalmente di due tipi. Da un lato, la progressione economica e dall’altro il conferimento di incarichi di posizione organizzativa. Nel primo caso, si tratta di sistemi che, pur rispondendo ad una logica di dinamica salariale correlata all’esperienza ed all’accrescimento delle competenze, comunque presente nei sistemi retributivi, hanno accentuato nel tempo i propri caratteri di rigidità, trasformandosi, nelle prassi applicative più diffuse, in salario di anzianità o, comunque, in salario rigidamente ancorato ad elementi formali (come titoli di studio posseduti, corsi di formazione frequentati, iscrizione ad albi professionali, assenza di procedimenti disciplinari). Il conferimento degli incarichi di posizione organizzativa, pur prestandosi maggiormente allo scopo, ha risentito invece di alcuni vincoli esterni (di natura legislativa o contrattuale) che ne hanno limitato le potenzialità”.
Ma, se le progressioni orizzontali hanno accentuato nel tempo le rigidità, ciò non è certo causato dalle PA in quanto datori di lavoro: discende, invece, dai Ccnl e dai vincoli alla gestione delle risorse. A maggior ragione ciò vale per le progressioni verticali, soggette ai vincoli costituzionali sull’accesso al lavoro, derivanti dall’articolo 97 della Costituzione.
Eppure, semplificare e rendere molto più dinamica la carriera sarebbe semplicissimo: basterebbe eliminare definitivamente le progressioni orizzontali, defatiganti, bizantine, fonti di contenzioso, per sostituirle con un sistema di anzianità di servizio, molto meno oneroso e capace di fornire prospettive di crescita stipendiale certe e programmabili, anche nei costi.
Per le progressioni verticali pare si possa fare poco: ma, non si deve dimenticare che potenzialmente il 50% del fabbisogno complessivo potrebbe essere riservato ai dipendenti della PA che intendano ottenere una promozione. Non è certo poco e, forse, è perfino troppo, vista la necessità di incrementare i ranghi e ringiovanirli, risultati ovviamente non conciliabili con le progressioni verticali.
In quanto al conferimento degli incarichi di posizione organizzativa, si tratta di un elemento in parte fuorviante. L’Aran non ricorda che negli enti locali privi di dirigenza tali incarichi sono automaticamente connessi all’assegnazione agli apicali delle funzioni dirigenziali, ai sensi degli articoli 50, comma 10, e 109, comma 2, del d.lgs 267/2000: una dinamica assai poco, o comunque in modo parziale, connessa ad una vera e propria gestione della “carriera”.
Insomma, la meritoria opera dell’agenzia volta ad evidenziare che il lavoro pubblico non sia poi così male (affermazione comunque condivisibile) coglie del tutto nel segno, specie nel confronto col “privato”. Il Rapporto, infatti, mette sull’avviso: “il confronto tra i livelli salariali del pubblico e del privato (e, più in generale, tra i diversi settori di attività economica) va effettuato con alcune cautele. Le differenze che si registrano nei dati medi settoriali, possono risentire infatti, in misura determinante, delle caratteristiche strutturali dei settori e dei processi produttivi: ad esempio, della composizione occupazionale. Quindi, il confronto puro e semplice tra i livelli salariali medi registrati nei diversi settori (e, ancor di più, in modo indistinto, tra pubblico e privato) potrebbe risultare fuorviante”.
Avremmo, forse, evidenziato con maggiore forza ed enfasi che detto confronto risulti inevitabilmente ed irrimediabilmente fuorviante, perchè il lavoro privato dispone di quegli elementi di autonomia contrattuale inesistenti nel settore pubblico ed inoltre la presenza di centinaia di contratti collettivi che oggettivamente ribassano il costo del lavoro, la presenza molto forte del lavoro in cooperative, l’impossibilità di tracciare con cura gli effetti retribuiti dei contratti aziendali ed individuali, la possibilità per i privati di contenere la dinamica contrattuale a loro carico con una serie di strumenti (cassa integrazione, contratti di solidarietà, apprendistato, sgravi e bonus a vario titolo) rende a ben vedere proprio quasi improponibile il confronto, se non per grandissimi linee e premettendo che mentre i dati del “pubblico” sono oggettivamente riscontrabili, quelli del “privato” sono solo e largamente orientativi.
Non convince, poi, il focus sul trattamento retributivo dei funzionari dei comparti Ministeri, Funzioni Locali ed Agenzie Fiscali. Leggiamo: “La retribuzione fissa annua lorda mediamente corrisposta ad un Funzionario dei Ministeri è di circa 32.800 euro. Un valore inferiore (29.900 euro) viene pagato nel comparto Funzioni Locali. Più elevata la retribuzione fissa media di un Funzionario delle Agenzie fiscali (35.300 euro). I valori medi indicati sono stati elaborati a partire dai dati di conto annuale RGS, ma aggiungendo una stima degli incrementi contrattuali previsti dai CCNL relativi al triennio 2019-2021, sottoscritti nel corso del 2022, i quali hanno riconosciuto gli incrementi, con valenza retroattiva, su tutto il periodo coperto dal rinnovo e, quindi, anche sull’anno 2021 … Alla retribuzione fissa si aggiungono alcune voci variabili, come straordinari, premi di produttività, indennità di disagio, turno o rischio, indennità correlate ad incarichi di maggior responsabilità. Il peso della componente variabile sulla fissa varia a seconda dei settori (tavola 3): nei Ministeri è all’incirca il 14%; nelle Agenzie fiscali, il 17%; nelle Funzioni locali, il 27%”.
Come si nota, con specifico riferimento alle Funzioni Locali, le rilevazioni del Rapporto non vanno fino in fondo, anche se i dati sono chiari. Il valore retributivo di fatto è per oltre un quarto soggetto a condizioni e variabili enormi, per un 27% circa: sono moltissimi i casi nei quali il trattamento sta nella media bassa, perchè risorse per un trattamento accessorio competitivo non ve ne sono.
Per altro, l’Aran evidenzia che il ragionamento sul comparto Funzioni Locali è ulteriormente complicato dalla presenza “di funzionari con incarico di elevata qualificazione, cioè un incarico di responsabilità remunerato con una retribuzione aggiuntiva (conteggiata, nella presente analisi, tra le componenti variabili), che può arrivare sino a 18.000 euro annui”. Questa retribuzione, connessa ad incarichi transeunti, eventuali e riferiti ad una parte soltanto dei “funzionari” agisce sulle medie, ma non costituisce affatto la regola- E, in ogni caso, un cittadino che aspiri ad avviare per la prima volta un’attività lavorativa come funzionario di un ente locale non può certo, nella gran parte dei casi, pensare di ottenere immediatamente un trattamento economico da subito comprensivo del pieno delle risorse connesse all’accessorio: spesso occorrono anni ed anni.
E’ dunque vero che operando sulla “media” la retribuzione annua nei Ministeri arrivi a 37.302 euro, nelle Agenzie fiscali a 41.091 e nelle Funzioni Locali a 38.042 con rispettivi lordi mensili netti per 13 mensilità di 1.816, 1.951 e 1.853.
Ma, si tratta di retribuzioni “di prospettiva”, che comprendano alcune progressioni orizzontali, molte indennità e, soprattutto negli enti locali, incarichi di Elevata Qualificazione. Al primo ingresso è molto dura. E la stessa Aran lo conferma nella parte riservata ai valori iniziali della retribuzione (corrisposti tipicamente ad un neo-assunto) e al potenziale di crescita nel tempo di tali valori iniziali (tavole 6a e 6b).
La Tavola 8 mette in chiaro molte cose:

Per il neo assunto come funzionario negli enti locali, la prospettiva è una retribuzione complessiva di circa 6.000 euro lordi maggiore del tabellare contrattuale, cioè euro 23.212,35, prospettiva, comunque, che richiede o molti straordinari (ma i fondi contrattuali sono risicatissimi) o indennità nei massimi, o appunto incarichi di EQ.
La rappresentazione “media” della retribuzione, poi, non appare del tutto convincente. E’ fondamentale illustrare quanti funzionari sono al di sotto della media (perchè non dotati degli incarichi di EQ e con un accessorio inferiore di molto al 27% visto sopra, e quanti al di sopra della media (come e perchè il massimo sia stimato in 55.035 euro? E’ stato presso questo “massimo”, con ogni evidenza fuori norma, per costruire le medie?). Così si capirebbe molto meglio quante chance concrete abbia un cittadino di ottenere retribuzioni competitive col privato.
Conseguentemente, per i neo assunti il trattamento mensile è stimato come segue:

Ma, anche in questo caso sarebbe da sapere quanti stanno tra il minimo e la media, e quanti tra questa ed il massimo, per scoprire effettivamente qualcosa di più sull’attrattività. La retribuzione “media” non dice quante chance concrete si hanno di stare in tale media.
L’Aran è perfettamente consapevole della questione retributiva del comparto Funzioni Locali, che da sempre presenta un gap molto ampio con i restanti comparti e spiega: “nelle Funzioni locali, ove il tavolo negoziale ha deciso di non istituire una nuova e distinta Area, si è avuta una sostanziale continuità nei livelli retributivi, rispetto al precedente istituto delle posizioni organizzative. Scelte diverse (e, in particolare, un aumento degli attuali livelli retributivi degli incarichi) avrebbero comportato un onere da coprire nell’ambito delle disponibilità di bilancio destinate al rinnovo contrattuale. La scelta delle Funzioni locali consente, per altro verso, di operare in continuità con un istituto contrattuale – quello delle posizioni organizzative – che aveva dato buona prova nel passato”.
Questo passaggio è rivelatore, perchè ammette:
- che nel comparto, contrariamente ad una certa “narrazione” non si per nulla introdotta l’area delle elevate qualifiche; la categoria D è stata sostituita dall’Area Funzionari ed Elevate Qualificazioni, e le vecchie Posizioni Organizzative sostituite dagli incarichi di Elevate Qualificazioni, senza praticamente alcuna differenza sostanziale;
- che la nuova area non è stata introdotta proprio per evitare una crescita di oneri a carico dei bilanci del comparto: a riprova che le dinamiche retributive nella PA, come evidenziato sopra, sono fortemente condizionate dalla finanza pubblica.
Di questi aspetti, la gente si accorge: si pensa, quindi, che sia ingiustificabile l’attuale ritrosia all’ingresso nel lavoro pubblico, specie negli enti locali?
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