Pnrr e “bando borghi”: quando il “fate presto” diviene causa di esclusione per meri cavilli.
Per il Consiglio di Stato le scadenze del Pnrr giustificano (quasi) tutto. La sentenza della Sezione VI del 6 febbraio 2023, n. 1232 è molto interessante, perché rivela l’atteggiamento (di una parte) della giurisprudenza amministrativa rispetto alle modalità di attuazione del Piano di ripresa e resilienza, con particolare riferimento alla questione dei tempi. Una questione che potrebbe sintetizzarsi col titolo “Fate presto” che ogni tanto ritorna sulla stampa mainstream.
Sotto esame è finito il c.d. bando “borghi”, gestito dal Ministero della Cultura. In palio complessivamente c’erano 820 milioni di euro: di questi 420 milioni sono stati collocati sulla contestatissima linea A e distribuiti fra 21 borghi in tutta Italia, uno per ogni Regione e Provincia autonoma, per finanziare progetti pilota di rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono e abbandonati”. La “Linea B” prevedeva che altri 380 milioni di euro fossero finalizzati alla realizzazione di progetti in almeno 229 borghi storici, con un finanziamento massimo di 1,6 milioni di euro a borgo, che salgono a 2.560.000 in caso di aggregazione di tre enti (fermo restando il limite dei 5000 abitanti complessivi).
Ed è proprio sulla linea B che si è aperto un nuovo fronte di polemiche e contestazioni, a seguito delle esclusioni a raffica decretate dal Ministero per motivi meramente formali. Nella maggior parte dei casi, il cartellino rosso è stato alzato per problematiche legate alla firma digitale degli allegati. Spesso “risulta allegata la sola delibera del Comune proponente di approvazione della proposta del Progetto locale di rigenerazione culturale e sociale, in altri casi “non risulta allegata la delibera del Comune aggregato di cui all’art. 4, paragrafo 9, lett. d)”, oppure “non risulta allegato l’atto di aggregazione (ovvero l’impegno all’aggregazione) di cui all’art. 4, paragrafo 9, lett. e) dell’Avviso sottoscritto dai legali rappresentanti di tutti i Comuni”.
La fondatezza di tali rilievi è di difficile valutazione, considerando la vaghezza di molte delle faq fornite e delle istruzioni per la compilazione del form. Dal punto di vista sostanziale, gli atti approvati richiamano la specificazione dell’avvenuta formalizzazione dell’accordo aggregativo e la condivisione del passaggio di approvazione del progetto; questi elementi sono assolutamente invocati come attestativi dell’avvenuta formalizzazione dell’approvazione della proposta e dell’accordo.
Come prevedibile ed ampiamente previsto, quindi, il primo risultato del bando non è stato la riqualificazione di un borgo, ma l’alimentazione del contenzioso, attivato dai comuni (a loro dire ingiustamente) esclusi ancora prima dell’esame di merito delle domande.
I ricorsi, in effetti, sembravano avere buone probabilità di successo, anche perché la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che “In presenza di clausole di un bando o di un disciplinare ambigue o contraddittorie, deve essere privilegiata l’interpretazione favorevole all’ammissione alla gara invece che quella che tenda all’esclusione di un concorrente, in ossequio al canone del favor partecipationis, che sottende anche l’interesse pubblico al massimo dispiegarsi del confronto concorrenziale, inteso all’individuazione dell’offerta maggiormente vantaggiosa e conveniente per l’Amministrazione appaltante”. Inoltre, esistono istituti, come il soccorso istruttorio, che servono proprio a rimediare a mancanze puramente.
In effetti, in primo grado, Il Tar del Lazio (Sezione II-quater, sentenza n. 17355/2022) accoglieva la ragioni del ricorrente con argomentazioni convincenti, che tuttavia sono state ribaltate in secondo grado. Secondo il Consiglio di Stato, nelle procedure comparative e di massa, caratterizzate dalla presenza di un numero ragguardevole di partecipanti, il diritto di questi ultimi al soccorso istruttorio sfuma in mera aspettativa. “E ciò vale, a fortiori, nelle procedure relativi a finanziamenti del Pnrr. Che (…) risulta caratterizzato da termini particolarmente celeri il cui rispetto è necessario per la copertura finanziaria dei progetti da parte dell’Unione europea. Pertanto, l’attivazione del soccorso istruttorio per ogni domanda incompleta terminerebbe per determinare un rallentamento evidente del procedimento con il rischio di non poter accedere ai fondi europei e, quindi, di far gravare, in ultima istanza, sulla collettività (nel caso, in cui il progetto sia mantenuto pur in caso di perdita della copertura euro- unitaria) i costi per il finanziamento di progetti la cui procedura di assegnazione sia rallentata dalla scarsa attenzione di alcuni dei partecipanti“.
Senza pretesa di voler strafare in punto di diritto, resta una domanda irrisolta e una amara considerazione di fondo. La domanda: qual è il medico che ha prescritto al Ministero della Cultura di prevedere una procedura comparativa e di massa? Non ci voleva Nostradamus per immaginare che, nel Paese dei mille borghi, questo avrebbe portato a centinaia di domande.
La considerazione. L’argomento dei tempi sembra un poco spuntato se, come scrive la Corte dei conti nella relazione annuale sul Pnrr, quest’ultimo si sta caratterizzando per la “generale inadeguatezza programmatoria” ed i conseguenti “ritardi nella selezione dei progetti da ammettere a finanziamento”.
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