Niente rivoluzioni per la contabilità pubblica. Solo un’altra riforma inutile.

In un precedente articolo avevamo posto, non senza preoccupazioni, il tema dell’impatto della riscrittura in senso privatistico della contabilità pubblica prevista dal PNRR. 

Ora a fugare i timori arriva il verbale della Commissione Arconet del 15 febbraio scorso, nel quale si riporta la risposta del “Comitato Direttivo della Struttura di governo della riforma 1.15” (sic!) il quale chiarisce che:

1) la contabilità economico patrimoniale non sostituirà la contabilità finanziaria che conserverà il ruolo di contabilità autorizzatoria;

2) la contabilità finanziaria sarà integrata con il nuovo sistema di contabilità economico patrimoniale secondo il modello utilizzato dallo Stato.

Pertanto, la tanto sbandierata riforma “costituisce un percorso di perfezionamento del sistema contabile previsto dal decreto legislativo n. 118 del 2011, da realizzare attraverso un adeguamento del principio contabile applicato concernente la contabilità economico patrimoniale vigente ai nuovi standard nazionali ITAS ispirati agli IPSAS”.

Come dire: molto rumore per nulla. La contabilità economico-patrimoniale resterà la sorella minore di quella finanziaria, che quasi nessuno considera in ragione della sua valenza “meramente conoscitiva” e che infatti non si applica al di sotto dei 5.000 abitanti. 

Ma le riforme PNRR non dovevano cambiare la faccia al Paese?

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